Professore | Studente

6. Dal pregiudizio all’accusa: la condanna a morte di Sacco e Vanzetti

A.12 gennaio 1911

Cara sorella,

[...] ora ti parlerò un pochino dell’America. Troppo lungo sarebbe il racconto delle mie avventure, ne avrei tante da fare un bel libro, perciò mi limito a darti un breve riassunto.

[...] Qui la giustizia pubblica è basata sulla forza e sulla brutalità, e guai allo straniero e in particolare l'italiano che voglia far valere la ragione con mezzi energici; per lui ci sono il bastone delle guardie, le prigioni e i codici penali. Non credere che l'America sia civile, ché nonostante non manchino grandi qualità nella popolazione americana e ancor piú nella totalità cosmopolita, se gli levi gli scudi e l'eleganza del vestire trovi dei semibarbari, dei fanatici e dei delinquenti.

Nessun paese del mondo ospita tante religioni e stravaganze religiose come i beati Stati Uniti.

Qua è bravo chi fa quattrini, non importa se ruba o avvelena.

Tanti hanno fatto e fanno fortuna col vendere la dignità umana, facendo le spie sui lavori e gli aguzzini ai propri connazionali [...]

B.

“ - Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire perché la sentenza di morte non sia pronunciata contro di voi? –

- Sí. Quel che ho da dire è che sono innocente, non soltanto del delitto di Braintree, ma anche di quello di Bridgewater. Che non soltanto sono innocente di questi due delitti, ma che in tutta la mia vita non ho mai rubato né ucciso né versato una goccia di sangue. Questo è ciò che voglio dire. E non è tutto. Non soltanto sono innocente di questi due delitti, non soltanto in tutta la mia vita non ho rubato né ucciso né versato una goccia di sangue, ma ho combattuto anzi tutta la vita, da quando ho avuto l'età della ragione, per eliminare il delitto dalla terra.

[...] Siamo stati processati in un periodo che è già passato alla storia. Intendo, con questo, un tempo dominato dall'isterismo, dal risentimento e dall'odio contro il popolo delle nostre origini, contro gli stranieri, contro i radicali, e mi sembra — anzi, sono sicuro — che tanto lei che mister Katzmann abbiate fatto tutto ciò che era in vostro potere per eccitare le passioni dei giurati, i pregiudizi dei giurati contro di noi.

[...] Questo è ciò che volevo dire. Non augurerei a un cane o a un serpente, alla piú miserevole e sfortunata creatura della terra, ciò che ho avuto a soffrire per colpe che non ho commesso. Ma la mia convinzione è un'altra: che ho sofferto per colpe che ho effettivamente commesso. Sto soffrendo perché sono un radicale, e in effetti io sono un radicale; ho sofferto perché sono un italiano, e in effetti io sono un italiano; ho sofferto di piú per la mia famiglia e per i miei cari che per me stesso; ma sono tanto convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e per due volte io potessi rinascere, vivrei di nuovo per fare esattamente ciò che ho fatto finora. Ho finito. Grazie. – “

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Fonte: Da B. VANZETTI, Non piangete la mia morte, a cura di C. Pillon e V. Vanzetti, e-book all’indirizzo http://www.liberliber.it/biblioteca/v/vanzetti/index.htm, p. 20 e p. 107.

Presentazione

La storia dei due italiani Sacco e Vanzetti, emigrati negli USA nel 1908, accusati di omicidio e giustiziati sulla sedia elettrica in Massachusetts nel 1927 è assurta a simbolo dell’ingiustizia e del pregiudizio negativo che più volte – anche se non in casi così eclatanti – ha colpito gli immigrati stranieri, diventati capri espiatori in un’epoca di diffusa intolleranza e xenofobia. Nel 1977 il governatore del Massachusetts ha riconosciuto l’errore giudiziario e ne ha riabilitato la memoria.

La loro vicenda, assai nota fin da subito in tutto il mondo, è diventata famosa sia grazie alla raccolta dei loro scritti, sia perché usata come soggetto di opere teatrali, musicali e cinematografiche, sia perché incrocia temi forti come il pregiudizio, l’amministrazione della giustizia, l’anarchismo, la pena di morte.

Domande

  1. Chi erano Sacco e Vanzetti e perché furono condannati a morte?
  2. Da dove provenivano e che lavoro facevano?
  3. In quale periodo e in quale contesto sociale e culturale vissero negli USA?
  4. Di cosa furono formalmente accusati dalla polizia e dai giudici e quale crede invece Vanzetti che sia la vera e più subdola accusa?

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Descrizione e Analisi

La vicenda di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti può essere utilizzata sia per approfondire il tema dei pregiudizi nei confronti degli stranieri, diversi e pericolosi, sia per aprire la discussione su altri temi formativi di attualità come la pena di morte o il funzionamento della giustizia. A questi due testi si possono associare fotografie, altre lettere, articoli di giornale del tempo e odierni.

Sacco era meridionale, Vanzetti settentrionale; emigrarono negli USA nel 1908 e lì si conobbero, frequentando ambienti anarchici e fuggendo in Messico per sfuggire all’arruolamento. Nel 1920 furono arrestati per possesso di volantini anarchici e armi; a questa accusa fu poi aggiunta quella per omicidio durante una rapina. Nonostante i moltissimi dubbi sulla loro colpevolezza, dopo lunghi processi in cui anche alcuni avvocati della difesa non fecero nulla per aiutarli, vennero condannati a morte nel 1927.

La condanna esemplare di questi immigrati italiani, conosciuti come radicali (avevano promosso scioperi, agitazioni politiche e avevano fatto propaganda contro la guerra) doveva essere un chiaro avvertimento per i tanti stranieri indesiderati e per i militanti anarco-sindacalisti. I pregiudizi, del resto (vedi Content page 5), erano diffusi.

Il primo testo contiene passi da una delle tante lettere inviate da Bartolomeo Vanzetti a familiari e amici, raccolte dalla sorella minore Vincenzina nel volume Non piangete la mia morte. E’ del 1911, pochi anni dopo l’arrivo negli USA, quando Vanzetti è un uomo libero, che osserva con acume una società varia, una giustizia condizionata e la difficoltà per i lavoratori stranieri di far valere le loro ragioni.

Il testo B riporta brani dall’ultimo lungo discorso pronunciato dallo stesso Vanzetti davanti ai giudici il 9 aprile 1927 pochi giorni prima dell’esecuzione. Risalta la risposta secca e decisa di apertura, con affermazione forte di innocenza e con la consapevolezze che i veri ‘crimini’ di cui lo si accusava non fossero legati alla rapina (la testimonianza – ignorata dai giudici – di un uomo che aveva partecipato alla rapina aveva addirittura scagionato lui e Sacco) ma piuttosto al suo essere, nell’ordine, un radicale e un italiano.

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